La seconda puntata: I cinque rischi, forse sei, che corre il mercato americano e mondiale
Il mercato immobiliare statunitense va verso un inaudito massacro?
Durante il Covid, il governo degli Stati Uniti ha erogato 7 trilioni di dollari a pioggia ai cittadini per combattere il blocco delle attività. Non era sbagliato, all’epoca, ma ora se ne devono fronteggiare le conseguenze.
La Federal Reserve di St. Louis ha svolto una interessante inchiesta sui prezzi delle case, arrivando alla conclusione che il loro prezzo attuale costituisce un massimo storico, con un prezzo medio raddoppiato nel corso dell’ultimo decennio.
La case media americana nel 2014 costava 200.000 dollari, ora ne costa 400.000.
Ovviamente, in dieci anni i salari non sono raddoppiati. L’aumento medio è stato infatti solo del 13.8%.
Il prezzo delle case, nel breve e medio periodo, è stabilito dalla domanda e dall’offerta: la domanda rende implicito anche quanto l’acquirente è disposto a pagare.
Nel lungo termine, sono i redditi a condizionare i prezzi delle case: quindi, attualmente, una buona parte degli acquirenti americani non ha accessibilità concreta al mercato delle abitazioni.
Il crollo immobiliare del 2008-2009 ci ha mostrato che c’è un tetto naturale ai prezzi delle case. I prezzi non possono oltrepassare il punto in cui gli acquirenti non possono permettersele.
Quindi, i prezzi dovranno tornare a un livello che permetta agli acquirenti di poter tornare ad accedere al mercato delle abitazioni.
I prezzi stanno dando sintomi di discesa, a livelli pre-pandemia.
Ma stanno scendendo lentamente, perché l’abbondante liquidità, in definitiva la struttura a debito governativa basata su 1 trilione di dollari presi in prestito ogni 100 giorni, non produce una discesa dei prezzi troppo rapida: per quanto tempo ancora, vista la difficoltà di continuare a vendere il debito?
I fondi pensione
Dal Covid in poi, il governo degli Stati Uniti ha aumentato il suo debito di 11 trilioni di dollari. Del resto, 7 trilioni, come detto, sono stati distribuiti ai cittadini, dicendo loro di isolarsi e stare a casa.
Che poi arrivasse l’inflazione, prima o poi, non più di tanto con il senno del poi, era inevitabile.
La differenza rispetto a prima era che le banche centrali finanziavano le banche, che facevano salire le borse. Così il circolo si chiudeva senza produrre inflazione.
Ma la distribuzione del denaro a pioggia è diversa. E l’inflazione sta a significare che è arrivato troppo denaro in circolazione.
Avendo obbligato le persone a stare a casa, si è creata una nuova cultura: lo smart working.
Interi quartieri di uffici nei centri di quasi tutte le città americane si sono svuotati.
E’ sempre la Federal Reserve di St. Louis che ci informa che i prezzi degli immobili commerciali hanno iniziato a precipitare: in un modo che ricorda il 2008-2009.
Le amministrazioni comunali, in tutti gli Stati Uniti, stanno cercando di salvare i loro distretti commerciali e direzionali, ma sembra una valanga difficile da combattere.
Le banche, specialmente quelle regionali, sono sedute su una bomba ad orologeria di quasi 3 trilioni di dollari di mutui a scopo commerciale.
Negli Stati Uniti, i fondi pensione sono i maggiori investitori in immobili commerciali. La conseguenza è che alcuni di loro stanno già subendo durissimi colpi nei loro bilanci.
Complessivamente, fra valore del debito e valore detenuto dai fondi pensione, parliamo di 6 trilioni di dollari.
Difficile vedere la soluzione a questo problema: la pandemia ha cambiato il mondo e i capitali allocati sul modello pre-cambiamento sono a rischio grave.
Il ritmo della “de-dollarizzazione”.
L’obiettivo non dichiarato della Cina è sostituire lo Yuan al dollaro nelle transazioni internazionali e come valuta di riserva.
Nel febbraio scorso, la Cina ha convinto l’Iraq ad abbandonare il dollaro. A marzo, il Brasile, ad aprile ci hanno provato con l’Argentina.
Il loro prossimo obiettivo è l’Arabia Saudita: che essendo ancora piuttosto arrabbiata con gli Stati Uniti, si è mostrata aperta a discuterne.
E’ una guerra economica che sta peggiorando: l’unico argine al dilagare del fenomeno è che i BRICS, a un certo punto, si sono chiesti se avesse senso abbandonare la schiavitù dal dollaro, per mettersi nelle mani dei cinesi, cercando la strada di una improbabile valuta comune, ancora più improbabilmente coperta dall’oro (ricorda vagamente i progetti sull’ECU poi divenuto EURO, evidentemente gli errori dell’uomo hanno la memoria cortissima e la presunzione di mostrare di essere più bravi vince su tutto).
E questo, per ora, è la ragione per cui non ci sono stati impatti significativi sul dollaro.
Se dovesse portarli, significherebbe il crollo progressivo del mercato obbligazionario statunitense, con una distruzione di ricchezza impensabile e mai verificatasi nella storia, quindi difficile perfino da immaginare: crollo delle borse, inflazione alle stelle, economia al collasso, fondi del mercato monetario in rapida evaporazione.
Il danno sarebbe talmente grande che, in realtà, se ne parla poco: sono soprattutto le classiche voci “contrarian” tipiche di quest’epoca (Donald Trump, Elon Musk, alcuni miliardari non proprio allineati all’establishment) a dire con molta trasparenza che la de-dollarizzazione sarebbe un guaio catastrofico per gli Stati Uniti.
Nel 2029, saranno 100 anni dall’inizio della Grande Depressione. E il 2028-2029 nell’immaginario collettivo americano (con la doppia ricorrenza 2008-2009 e 1929) fanno già molta paura.
Guerra con la Cina per Taiwan
Questo è quanto noi abbiamo classificato come il “sesto rischio”. Contraddistinto da un “forse”.
Perché è difficile immaginare il mondo con Taiwan in mano ai cinesi.
Se la Cina attaccasse Taiwan, il rischio per il mondo non è valutabile.
E c’è una corsa contro il tempo che gli Stati Uniti hanno intrapreso, per colmare decenni di know-how tecnologico tutto concentrato in quell’area.
Non basta una quantità enorme di capitali (e di debiti ulteriori). Il know-how non si costruisce solo con i capitali, ma con l’esperienza. E questa richiede tempo. Molto tempo.
Così, la costruzione di nuove industrie che siano in grado di rendere gli Stati Uniti indipendenti da Taiwan è un tentativo pregevole, ma l’obiettivo da raggiungere è molto lontano.
Se poi valutiamo che l’Europa non ci sta pensando affatto, seduta sull’ottantennale patto “ci pensano gli Stati Uniti”, è facile capire che siamo seduti su una sedia a tre gambe.
Se una mattina ci sveglieremo con la notizia che la Cina ha attaccato Taiwan, l’annuncio sarà simile, in termini di impatto, ad una nuova pandemia.
Il 90% della produzione mondiale di semiconduttori verrebbe messa a rischio. Tutto ciò che vedi intorno a te, il tuo computer, il tuo smartwatch, il tuo smartphone, il tuo tablet, la tua automobile … ha un componente che viene da Taiwan.
Le compagnie di trasporto, aeree, ferroviarie, marittime hanno bisogno estremo quotidiano di componenti che provengono da Taiwan.
Non solo. La stragrande maggioranza dei sistemi di difesa americani ed europei hanno tecnologie basate su semiconduttori provenienti da Taiwan.
Nvidia (non solo Nvidia, ovviamente) non produce in proprio i semiconduttori per i sistemi di intelligenza artificiale: la maggior parte di essi proviene da Taiwan.
Immaginati che un iphone potrebbe costare 10.000 euro, che le aziende tecnologiche e manufatturiere di tutto il mondo si fermino, per mancanza di componentistica essenziale, che i sistemi di trasporto vengano messi in durissima crisi, che alcuni servizi essenziali vengano improvvisamente meno …
C’è di più.
Nel Mar Cinese Meridionale circola un terzo del commercio marittimo mondiale.
Questo include … tutto … smartphone, computer, mobili, sedili per auto, vestiti, cappelli, riscaldatori, vernice, scarpe, pneumatici in gomma, lavatrici, asciugatrici, biciclette, microonde, tostapane …
Un attacco cinese a Taiwan congelerebbe immediatamente un terzo del commercio globale.
Forse, la stessa Cina non uscirebbe indenne da tale catastrofe … ed è quello che ci fa dire che il sesto rischio… “forse” … non ci sarà.
Ma quando le decisioni sono presi da pochi esaltati, ideologicamente convinti e dotati di tutti i poteri, tutto diventa possibile. Ma questa è solo una mia opinione. Rispetto, anche se non capisco, chi riesce ad apprezzare la Cina, dimenticando di essere in un luogo dove può dire e non dire ciò che si vuole, a patto di non offendere nessuno.
Prima, si è fatto cenno all’intelligenza artificiale.Sul piano occupazionale, questa potrebbe essere un grave ulteriore rischio. Ma è un rischio particolare, ancora da scoprire: e preferiamo tenerlo fuori da questa disamina, riservandolo per una analisi futura dedicata all’argomento.
Maurizio Monti
Editore
Traders’ Magazine Italia